Federico Fellini appartiene a quella cerchia ristretta di italiani che, per milioni di persone, in qualche modo riassumono l’Italia. In occasione dei cento anni dalla nascita (Rimini, 20 gennaio 1920) di questo Maestro, l’Istituto Italiano di Cultura propone al pubblico lituano l’esposizione di disegni ed oggetti felliniani “Il Centenario. Fellini nel mondo”.
La mostra è risultata da una sistematica opera di raccolta coinvolgente tanto archivi pubblici e privati quanto autorevoli collezionisti. Il progetto si prefigge evidenza della personalità felliniana volendone esaltare i caratteri per cui il regista venne elevato a fama mondiale. Varietà e qualità degli articoli esposti offrono una prospettiva sui motivi della celebrità di questo artista del secolo scorso, sui motivi del vivo interesse perdurante oggi a ventisette anni dalla scomparsa.
La mostra rimarrà presso il Museo Lituano di Teatro, Musica e Cinema (Vilniaus g. 41, Vilnius, https://ltmkm.lt/) dal 31 luglio al 20 settembre.
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Mi è lieta l’occasione di questa interessante scorsa d’immagini, per la formula d’una breve riflessione (che pur temo personale, eterodossa forse) in ordine alla cinematografia del Maestro. Mi è piaciuto riflettere di quel genio provocato, irrompente sul quotidiano al quale così rende i caratteri del sublime, di quel momento per cui la cinematografia diventa arte, in Fellini.
Federico Fellini attinge da forme di spettacolo popolari delle quali gelosamente ricompone (ma vorrei scrivere “risillaba”!) la sensazione facendone monumento, non più al fatto materiale ma ad emozioni proprie e che il Maestro si esige di condividere. L’artista, dentro il nostro cineasta, si dimostra allora in cui compone ricordi intimi di modo da farne risultare un racconto sollecitante la sostanza d’un profondo sentire comune. Così il modo di racconto felliniano, le cui grammatiche sono quelle della sceda tra paesani (a caso fattasi costume tra compagni); quelle del saltimbanco; quelle della tradizione orale; della volgarità, diviene modo di coscienza per ognuno dei suoi innumerevoli spettatori. Lo spiccato gusto per l’affabulazione, per la caricatura e per l’artificio, che di Fellini è cifra[1], diventa urgente invito rivoltoci dal Maestro al modo in cui ci si debba considerare volendo comprenderne la poesia (ed in parte noi stessi).
Il Maestro sembra specchiarsi dalla pellicola in modo tale da averne riflessa non soltanto la propria immagine ma anche il volto d’ognuno di noi. Seppur con il riserbo ingenuo a qualsiasi racconto di vicende altrui egli riporta favole, caricature, artifici tanto del proprio passato quanto del nostro, con l’affetto di quegli che partecipi la narrazione e che con carezza ne ricordi il passeggio trasmettendone compassionevolmente l’emozione.
Non ritengo Federico Fellini quale un amaro autore di satira (quantunque né di amarezza né di satira manchi la sua Opera) ma quale fraterno e gioviale cantastorie pieno di sincere premure per l’essere umani, per la persona, per noi, sol che ci si avveda di quanto brevi siano, e salute, e gioventù, e felicità; ci si avveda di come queste tutte possano finire, andare perdute al rugliare d’una folata di vento, prima che si sia liberi…
Vieri Sorace-Maresca
Direttore
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[1]Quel contempo di conduzione ed inganno dei sensi, e di bella mostra dell’espediente adoperato (cartoni, sibili, candele, fogli appesi da fili… risultandone scherno della percezione, nel voluto eccesso d’allegoria).