Davide Castiglione sumanytas ir organizuojamas poezijos skaitymų ir pokalbių ciklas, bendradarbiaujant Italų kultūros institutui Vilniuje ir Asociacijai „ANILS Euroest”. Renginį globoja Italijos Ambasada Vilniuje
Susitikimas su Riccardo Frolloni
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Biografija
Riccardo Frolloni gimė 1993 m. Mačeratoje. Baigė italų kalbos studijas, išleido knygelę „Languide istantanee Polaroid” (Affinità Elettive 2014), ir dabar pristato pačią naujausią rinktinę „Corpo striato” (Industria&Letteratura, 2021). Išvertė į italų kalbą Richardo Harrisono „Sul non perdere le ceneri di mio padre” (‘roundmidnight edizioni 2018) ir Rono Padgetto antologiją „Non praticare il cannibalismo” (Del Vecchio Editore 2018). Vadovavo Bolonijos universiteto Poezijos centrui, dirbo Toronto Universiteto tęstinių studijų mokykloje lektoriumi. Dėsto italų ir lotynų kalbas licėjuose.
Corpo striato, di Riccardo Frolloni (Industria&Letteratura, 2021)
Ripresero le passeggiate, la sera, col cane, lungo le mura del paese
cercando di adunare parole e pensieri, ovvero, dirci il bene
parlando d’altro, dei fatti degli altri, del male
che prende tutti, ci affratella, la malattia
era l’unica cosa più mostruosa della morte
di silenzi che stavamo subendo, e così seppi di Nilla
e le discussioni su cosa è peggio, se ne vale la pena.
Il lampo della malattia mi seguiva nei discorsi, nel temporeggiare
l’oscenità dell’assenza. Molto tempo dopo mi ricordai di Auster
e l’invenzione della solitudine, della donna malata di parkinson
e il desiderio di rivedere un padre che muore – ricordai parole definitive.
Un uomo malato è tutto corpo
e morendo neanche questo, forse
a fare un corpo ci vuole tutta una terra.
Le poesie di questo libro riescono nel difficile intento di attraversare una materia dolorosa – la morte del padre – senza ripiegarsi sul soggetto che soffre, sull’elaborazione privata del lutto; al contrario, Frolloni fa entrare nei versi tutta la quota di realtà – comunitaria, non soltanto individuale – in cui il padre agiva e da cui era agito: la sua presenza si dirama dal sogno premonitore del testo d’apertura (sogni I) alla cerimonia funebre coi familiari «mezzi scemi, rimbambiti dal piangere» (movimenti I); dalla vocazione poetica del figlio, come in movimenti II, dove il padre è giudice severo («quelle poesie sono terribili») di cui il figlio ammette la deità («non avevo dio prima del padre»), fino a episodi di cameratismo intergenerazionale (sogni II) in cui il padre «si unì a me / e ai ragazzi», distinguendosi per vitalismo e per incoscienza: «anche lui, buttando via i vestiti / corse urlando in pantaloncini sull’orlo del ruscello e si tuffò […] quasi si ruppe un femore». La prevalenza di parole concrete, la narratività, l’eliminazione delle marche stilistiche più espressive, puntano a un nitore dove chi scrive si incarica di ricreare una comunione – familiare soprattutto, ma allargata a figure resistenti e sfortunate che permettono uno sguardo allargato a una comunità di paese – e perciò di raccontare la tragedia senza dramma, come riassorbendola dentro un quadro più ampio, palpitante, che tocca e commuove il lettore.